Inflazione: terribilmente, drammaticamente reale

di Gerardo Valentini

I dati quelli sì: vengono forniti a getto continuo. Gli ultimi, per quanto riguarda l’inflazione, ci dicono che qui in Italia, in novembre, l’aumento su base annua è stato dell’11,8 per cento. Mentre per il “carrello della spesa” si sale di un punto. Di un altro punto ancora.

Come si dice, il fenomeno è monitorato.

Ma monitorato, purtroppo, non significa affatto “risolto”. E viene da chiedersi se, e fino a che punto, gli osservatori professionali lo avvertano davvero in tutta la sua urgenza. Nel suo impatto reale. Nelle sue conseguenze spesso, sempre più spesso, drammatiche. Sia per le famiglie, sia per le imprese.

Finché se ne parla e basta, infatti, la percezione tende a rimanere astratta: percentuali in più o in meno, cifre intere e decimali, tendenze per il futuro a breve o a medio termine. Numeri su numeri. Con la sola aggiunta, magari, di qualche considerazione a margine. Ma con parole che quasi sempre rimangono aride, distaccate, tecniche.  

Poi ti arrivano addosso gli effetti – concreti e pressanti, dagli acquisti di ogni giorno alle bollette per le utenze e alle altre spese per gli oneri che non c’è modo di evitare – e l’apparente astrattezza di quei dati si dissolve. Non è più un fenomeno di cui leggi sui giornali o di cui senti alla tv. È una realtà che ti aggredisce di continuo. E che quando non lo fa è comunque in agguato: o prima o dopo ti presenterà il conto, senza che tu ti possa sottrarre.

È questa la differenza tra i riepiloghi puramente informativi e le ripercussioni sulla vita reale delle persone. Dei cittadini. Dei governati.

È questa la differenza, abissale e maligna, che gli economisti e i politici non dovrebbero dimenticarsi mai. Nemmeno per un attimo. 

La corrente ci porta. O ci sommerge?

Allo stesso modo, non è lecito dimenticarsi che ogni effetto, per definizione, ha una o più cause. E le cause, riguardo all’inflazione in corso, sono legate a un’anomalia che di regola viene sottaciuta: nel mondo occidentale – sia quello “atlantista” che ricomprende anche gli USA, sia quello europeo degli Stati membri della UE – la condivisione delle scelte politiche collettive non si estende alla gestione delle ricadute economiche che ne derivano.

Parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, “toccatemi tutto ma non i miei privilegi”. O le mie speculazioni.

Il dato di fatto, indiscutibile, è che sui prezzi dell’energia si è lasciato che gli operatori di Borsa e le imprese del settore si muovessero a loro piacimento, cogliendo al volo, e a oltranza, l’occasione di moltiplicare i loro profitti. In circostanze normali sarebbe comunque sbagliato. In quelle odierne, eccezionali e persistenti, è del tutto intollerabile.

Nel giro di nemmeno tre anni, infatti, gli sconquassi dell’emergenza Covid, ossia del modo in cui è stata condotta, si sono sommati a quelli della guerra in Ucraina, ovvero delle sanzioni contro la Russia e degli altri costi dovuti al sostegno massiccio e acritico al governo Zelensky. Innestandosi, per di più, su una serie di altri fattori di instabilità economica e, specialmente in ambito UE, di scarsa crescita del PIL.

Lo abbiamo già scritto nello scorso ottobre, nel commento intitolato “Imprese italiane allo stremo. Una ‘pandemia’ che non dipende solo dal gas”: il rischio che si prospetta è quello di una desertificazione del sistema imprenditoriale italiano. Con moltissime aziende che chiudono o che trasferiscono la produzione all’estero. Il Pil scende, o crolla, e lo stesso accade al gettito fiscale e previdenziale, su cui si basa il nostro sistema di welfare. Pensioni e Sanità sono i primi due comparti che vengono in mente, ma l’impatto sarebbe fatalmente a tutto campo.

E quando l’impoverimento dovuto alla disoccupazione e alla precarietà si somma alla impossibilità di interventi pubblici adeguati, che permettano ai cittadini di accedere a quei servizi essenziali che non sono in grado di pagarsi da soli, il problema non è più soltanto economico. È politico. E mette a repentaglio la nostra stessa democrazia.

I dati ci dicono cosa sta succedendo. Noi tutti, a cominciare dal Governo, dobbiamo esserne sempre meno gli spettatori e sempre più gli artefici. 

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