TRANS A 16 ANNI, CON LA MASSIMA FACILITÀ: IN SPAGNA È LEGGE

di Gerardo Valentini

Un altro colpo che va a segno. E che non va affatto sottovalutato. 

La notizia è che il Parlamento spagnolo ha approvato una legge che semplifica al massimo la possibilità del cambiamento di sesso già a partire dai sedici anni, senza alcuna necessità né di autorizzazione da parte dei genitori, né di un percorso di approfondimento sul piano psicologico. 

Le nuove norme, del resto, vanno nella medesima direzione anche riguardo ad altri aspetti, tra cui l’aborto. E il tratto fondamentale, come di sicuro avrete già notato, è che su questioni così delicate e complesse si ritiene che ognuno possa decidere in totale autonomia, benché non abbia ancora raggiunto la maggiore età.

Questo nuovo colpo, che rischia di essere assunto/spacciato come precedente e quindi come esempio da seguire, rientra in una prospettiva ben precisa. La strategia, l’offensiva, è quella dei sostenitori della cosiddetta “teoria gender”. 

Stando alla quale, oplà, il sesso biologico è nulla di più che un accadimento casuale. Quasi, o senza quasi, una mera apparenza: tipo un vestito che ti è stato consegnato per errore e che ti è toccato indossare prima che ti potessi accorgere che non ti piaceva e che ne preferivi un altro. Completamente diverso.

Per i paladini/fanatici del Gender, invece, ciò che conta davvero è il modo in cui ciascun individuo si sente. Ovvero, appunto, il genere nel quale ci si identifica. Maschio o femmina alla nascita, femmina o maschio (o un po’ e un po’, in base all’umore del momento e in linea con la versione “fluida”) nel prosieguo dell’esistenza. 

Già: ma da quando? Da quale età in poi? Da bimbi, da adolescenti, da adulti?

Con la scusa dei diritti altrui…

Il più presto possibile, replicano gli oltranzisti. Ossia già da piccoli. O piccolissimi. 

Il presupposto, innalzato a dogma, è che la propria vera condizione psicosessuale – quella che viene definita “identità di genere” – prescinda dalla realtà fisiologica. E che perciò la si debba far emergere quanto prima. Assecondandola. Incentivandola. Addirittura promuovendola in assenza di un giudizio del diretto interessato, laddove questi non abbia la capacità di esprimersi in termini concettuali.

Il piccino non si interessa ai tipici giochi da maschietto? Alé: liberiamo la femminuccia che è in “lui” e che attende solo di sbocciare. La piccina, viceversa, si comporta in quel modo che una volta si era soliti definire “da maschiaccio”? Magnifico: coltiviamo prontamente questa attitudine e predisponiamola a svilupparsi di conseguenza. 

Da futura donna a futuro uomo. O l’opposto: da futuro uomo a futura donna. Che problema c’è? Esistono gli ormoni. Esiste la chirurgia plastica. Le tette si aggiungono o si rimuovono. L’utero si disinnesca o magari si asporta. La vagina e il pene si rimodellano a piacere. O a capriccio. 

Ora, se queste decisioni vengono assunte da degli adulti (sia pure nell’automatica e discutibile equivalenza tra età anagrafica e maturità psichica) c’è poco da fare. Anche se appare del tutto ragionevole che vi sia comunque un percorso di sostegno e di verifica, allo scopo di aiutare a comprendere se quel desiderio sia realmente fondato oppure no. Se non si tratti, al contrario, di una via di fuga dalle difficoltà che si hanno nel riconoscersi nel proprio sesso di nascita. 

Adler, ad esempio, lo definiva “disturbo psicodinamico”. E Jung, a sua volta, aveva ben chiaro quanto siano complessi e spesso contraddittori i percorsi della “individuazione” personale. Entrambi, comunque, sapevano a menadito che la psiche non genera solo verità limpide e inoppugnabili. Semmai, ahinoi, l’opposto.

La medesima consapevolezza, la medesima cautela, dovrebbe averla chiunque si occupi di scelte che incidono così tanto sulla vita di chi le fa, sino a determinare delle conseguenze definitive. E perciò irreversibili. 

Quando ciò non avviene, come in questo caso, significa che si è trasformata la difesa di una determinata categoria di cittadini in un pretesto al servizio del proprio ego e della propria smania di affermarsi. Per rivalersi, magari, di qualche frustrazione che si è acquisita in precedenza.

I diritti altrui sono la facciata. La sostanza è un odio mai superato per l’ordine naturale delle cose. Un’avversione viscerale che porta a voler dimostrare che nulla deve essere in un modo prestabilito. Un’insofferenza che diventa propaganda avvelenata ai danni di chi non sia abbastanza saldo da risultare immune.

A cominciare, appunto, dai bambini e dagli adolescenti ancora in crescita. 

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