Schlein e Conte. Ma un po’ anche Calenda. Tutti dalla CGIL a caccia di elettori 

di Gerardo Valentini

Eccoli lì, sul palco del Congresso nazionale della Cgil. Che va in scena, stavolta è proprio il caso di dirlo, in quel di Rimini.

A volergli trovare un titolo si fa presto: “Mamma, ho perso il consenso”. Sottotitolo: “Mi devo rilanciare ma non so bene come”.

Con le opportune differenze, vale per tutti. Per gli ospiti, i segretari del PD, del M5S e di Azione, e per lo stesso padrone di casa, Maurizio Landini. Tutti alle prese con lo stesso problema: apparire credibili, o persino affascinanti, agli occhi dei tantissimi cittadini che non sono più disposti a dargli retta e che alle ultime elezioni, nel caso dei partiti, si sono ben guardati dal votarli. Vuoi perché si sono spostati altrove, e “persino” a destra, vuoi perché al seggio non ci sono andati per niente. 

Una crisi di rigetto, questa dell’astensionismo, che non smette di aggravarsi e di cui, però, si parla troppo poco e quasi esclusivamente nell’immediatezza dei risultati delle urne. Poi, visto che il numero dei seggi da assegnare (da spartire) rimane esattamente lo stesso quale che sia il numero dei votanti, il tema viene prontamente accantonato e si torna al solito andazzo: sfruttare il potere acquisito o darsi da fare per acquisirlo alla prossima tornata.

Marketing, in pratica. 

E appunto in chiave di marketing vanno viste le contorsioni, spesso grottesche, di chi ormai dà per scontato che non possa essere altro che così: la politica è diventata un prodotto da vendere e i cittadini sono degli acquirenti da conquistare. Volta per volta. Suggestione per suggestione. Messinscena per messinscena.

L’abilità dei politici di mestiere non è convincerli in profondità con le proprie idee e la propria coerenza, ma affascinarli quanto basta per ottenerne (per scroccarne) il supporto elettorale.

Così, nella situazione attuale, i capovolgimenti sono all’ordine del giorno. Il PD di Elly Schlein si sforza di fare proprie le istanze del M5S, nel tentativo di sottrargli una fetta più o meno cospicua dei suoi elettori; ma a sua volta il M5S, al momento della trasformazione da movimento antisistema a forza di governo, si era proposto come una sorta di PD “rigenerato”. All’incirca lo stesso orientamento progressista e ragionevole, ma in una versione non altrettanto usurata e quindi più attraente. 

Il PD si era via via screditato, passando dai vari Renzi, Zingaretti e Letta, e il M5S di Conte aveva avuto gioco facile a presentarsi come un’alternativa preferibile in quanto “nuova”.

Detto con un’immagine: Enrico Letta & C. erano parecchio sgualciti; Giuseppe Conte era, o sembrava, stirato di fresco.

Il miraggio, o l’abbaglio, di una coalizione “di sinistra”

Ma adesso?

Adesso, con l’avvento di Elly Schlein al vertice del PD, la situazione è cambiata. Quantomeno sul piano delle apparenze.

Adesso è il PD che si pone come la novità del quadro politico, nella speranza che l’attuale restyling in chiave idealistica (sic) riesca a far dimenticare le storture e le manchevolezze precedenti. Riducendole a semplici errori di valutazione, rispetto ai grandi temi socioeconomici, e ad eccesso di personalismi, riguardo alle cordate interne e alle loro smanie di potere.

Appena Elly ha vinto le Primarie, loro si sono affrettati ad archiviare tutto. Confidando che l’avvicendamento al vertice sia sufficiente a invertire la tendenza delle ultime elezioni: non solo riconquistando gli elettori perduti ma addirittura guadagnandone di nuovi, e per di più in gran numero. Andando a sottrarli, magari, proprio a quel M5S che se li era accaparrati grazie all’offuscamento del PD come capofila del mondo progressista.

Un progetto vincente, quindi?

Niente affatto. Che il PD riesca a imporsi da solo quale forza maggioritaria, come auspicato da Veltroni nel discorso del 2007 al Lingotto, è a dir poco inverosimile. Il che spinge fatalmente verso un accordo di coalizione.

Ed è qui che casca l’asino. 

Una coalizione seria, e con reali possibilità di vittoria, presuppone dei soggetti capaci di pescare in bacini elettorali diversi: dove non arriva l’uno, arriva l’altro. Per poi confluire in un accordo comune.

Ma Calenda, sul palco della Cgil, ha detto chiaro e tondo che non è disponibile a legami così ampi: «Sul merito dei problemi possiamo discutere sempre, ma niente Comitati di liberazione nazionale anche perché grazie a Dio non c’è il fascismo». 

Quanto a PD e M5S, impegnatissimi a scopiazzarsi a vicenda, si tratta di due rivali che si contendono il medesimo target. La cui distribuzione può variare a favore dell’uno o dell’altro, ma il cui ammontare complessivo rimane più o meno lo stesso.

Può sembrare una somma. È solo una suddivisione.  

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