Reddito di cittadinanza etc: le armi spuntate di Pd e M5S

Di Gerardo Valentini

Avevano cominciato in campagna elettorale. Quasi un anno fa. Prima che il 25 settembre 2022 gli italiani andassero alle urne, finalmente, e scegliessero a larga maggioranza la coalizione di centrodestra guidata da Fratelli d’Italia. Ovvero dalla sua leader, Giorgia Meloni.

Hanno continuato allo stesso modo, il PD e il M5S. Imperterriti. A corto di idee. E a cortissimo di credibilità. Consumata un po’ per volta nel caso del PD. Dilapidata ad alta velocità in quello del M5S. Ma ingabbiati, entrambi, nella solita supponenza: il centrodestra è “brutto, sporco e cattivo” e perciò dovrebbe essere evidente che noi progressisti, invece, siamo “belli, candidi e buoni”. E allora, mannaggia, perché così tanti cittadini non lo capiscono?

Inguaribile la spocchia, invariabile lo schema. Imperniato sul discredito sistematico. In blocco e a priori. Sempre e comunque. 

Più che criticare il Governo si cerca di delegittimarlo, sperando di togliergli qualsiasi autorevolezza. Tentando in tutti i modi, e con tutte le forzature, di farlo passare per una sciagura nazionale: sia in campo economico-sociale, a causa di una presunta ostilità verso i ceti meno abbienti, sia nell’ambito dei cosiddetti diritti civili, a cominciare dai drastici interventi contro le gravidanze a pagamento.

L’arsenale è modesto? Pazienza. Si fa con quel che c’è. L’enfasi, e l’insistenza, al posto della potenza di fuoco. In attesa, e in mancanza, di un consenso elettorale risolutivo, si prova ad attizzare il malcontento popolare. Vedi la difesa, ormai fuori tempo massimo ma rilanciata in questi ultimi giorni con la massima virulenza, del Reddito di cittadinanza. 

Cultura dell’odio? Solo quella degli altri

Le ragioni per cui si è deciso di abolirlo sono state spiegate in lungo e in largo. Il motivo fondamentale è che si vuole uscire dall’assistenzialismo fine a sé stesso e ripristinare, invece, una logica completamente diversa. Giustamente diversa. Il dinamismo contro l’inerzia. L’impegno contro il vittimismo. Il lavoro ideale è un’aspirazione legittima, ma a patto che non diventi l’alibi per astenersi da ogni altro mestiere e rimanere con le mani in mano.

Il rimedio alla disoccupazione individuale non può essere l’ottenimento automatico, e rinnovato chissà quante volte, di un “quasi stipendio” a carico dell’erario. Mentre i sussidi erogati in presenza di impedimenti oggettivi sono sacrosanti, quelli che finiscono con l’incentivare il lassismo personale non lo sono affatto.

Il PD e il M5S, manco a dirlo, si sono arroccati sulla posizione più facile. Quella dei paladini di chi in precedenza ha percepito il Reddito di cittadinanza, in base alle sue disposizioni assai accomodanti, e ora lo ha perso in forza della revisione, doverosa, del governo Meloni.

Ma questo è ancora il meno. Se si trattasse solo di una impuntatura capziosa, allo scopo di lucrare un po’ di voti nelle elezioni future, saremmo nei limiti di una “strumentalizzazione standard”. Come se ne sono viste, e purtroppo se ne vedranno, in innumerevoli occasioni.

La differenza, cruciale, sta nel modo in cui si soffia sul fuoco della frustrazione altrui. Quella di coloro i quali si sentono, benché a torto, defraudati ingiustamente del beneficio che avevano ricevuto. E che erano stati indotti a scambiare per un diritto. Un gran numero di persone che, vuoi per ignoranza, vuoi per malafede, non hanno l’obiettività necessaria a riconoscere che a essere ingiusta non è la soppressione della regalia, bensì la sua istituzione.

Il PD e il M5S puntano su queste sacche, ampie, di marginalità potenzialmente esplosiva. Confidando che il disagio diventi rabbia. E la rabbia protesta di piazza, non solo occasionale ma ripetuta. E così accesa, o persino violenta, da condizionare l’operato dell’Esecutivo.

Se lo facessero gli avversari si griderebbe alla “cultura dell’odio”. Se lo fanno loro va considerata, ci mancherebbe, la sana e democratica reazione di tanti poveri cittadini esasperati. Vessati per i più biechi motivi dalle scelte – inique, ciniche, tiranniche – della maggioranza di centrodestra. 

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