OMICIDIO DI CIVITANOVA/2 INDIFFERENTI? NO: INERMI

di Gerardo Valentini

Il dato di fatto è lì: mentre il 29 luglio, a Civitanova Marche, Filippo Ferlazzo ammazzava di botte Alika Ogorchukwu, nessuno dei presenti ha mosso un dito per andare in soccorso della vittima. Una  passività che è quanto mai esecrabile, in linea di principio, ma che di sicuro non è un fenomeno inedito. Una passività che è stata stigmatizzata da innumerevoli commentatori nella stessa chiave. Con il termine “indifferenza”. 

Ma è proprio così? Si tratta davvero del cinico distacco di chi confonde la vita reale con i filmati della tv o di Internet e, quindi, si accontenta di guardare ciò che gli accade sotto gli occhi, arrivando tutt’al più a girare un video da pubblicare poi online (o magari da rivendere a qualche canale professionale che sia disposto a pagarlo)?

La questione è più complessa. 

Che quella confusione vi sia, e che ormai da decenni si vada diffondendo e acuendo sempre di più, è indubbio. I contenuti mediatici si basano innanzitutto sulle immagini e, più in generale, sulla spettacolarizzazione di qualsiasi cosa. La conseguenza è tanto nota quanto ignorata: gli spettatori si abituano a questa modalità e spesso ne sono influenzati ben più di quanto essi stessi siano in grado di sospettare. E figuriamoci di ammettere. 

I professionisti dei media, a loro volta, assecondano la tendenza e continuano a lucrarci sopra. Salvo poi lamentarsi, come in questo caso, della tendenza generale di così tante persone a rimanere inerti.

Che diamine: avrebbero dovuto agire! Avrebbero dovuto scagliarsi, come un sol uomo, contro l’energumeno che si era avventato su un povero cristo incapace di difendersi. Non è proprio ammissibile, che in circostanze del genere si stia solo a guardare!

Li allevi così, si comporteranno così  

Tutto facile, a chiacchiere. Si vede un aggressore che si sta accanendo su qualcuno e ci si lancia contro di lui per fermarlo. Poiché le intenzioni sono nobili, l’happy end è garantito. Il delinquente verrà neutralizzato, il crimine evitato… e vai con l’epilogo rassicurante. 

Ma figuriamoci. Messa così è roba da fiction. Da fiction, per di più, all’acqua di rose. Perché già in Gomorra o in Romanzo criminale il lieto fine te lo scordi. 

La verità, nella vita reale, è che fronteggiare un individuo violento e determinato a ferire, o persino a uccidere, non è assolutamente alla portata di chiunque. Per riuscirci – o anche solo per provarci – bisogna possedere due attitudini ben precise. E possederle entrambe. La prima è quella mentale di esporsi ai rischi di uno scontro che con ogni probabilità sarà cruento e che potrebbe addirittura diventare mortale; la seconda è quella tecnica di sapere come muoversi e come colpire. 

Nella società attuale, entrambe queste capacità, sono tutt’altro che diffuse. Per il semplice e decisivo motivo che non si fa nulla per coltivarle. Anzi: ciò che accade è proprio il contrario. Dalla legislazione penale ai messaggi educativi dispensati dalla scuola e dai media, l’impostazione dominante è opposta: reprimere i reati è affare esclusivo delle forze dell’ordine e l’idea stessa che gli individui imparino a combattere è scoraggiata in lungo e in largo. Tanto è vero che, riguardo al bullismo scolastico, ci si guarda bene dal dire che un ottimo rimedio sarebbe che molti giovani, dall’indole per nulla violenta, praticassero il pugilato o altre arti marziali: potendo così stroncare da soli, e senza troppi problemi, i tentativi di sopraffazione di questo o quel bullo.

Per chi ha assistito all’omicidio di Alika Ogorchukwu senza intervenire, quindi, parlare di indifferenza è fuorviante. Il termine giusto è inadeguatezza. Un miscuglio di paura istintiva e di consapevolezza obiettiva, benché latente, di non essere in grado di fermare l’assassino. 

Detto senza mezzi termini, quei cittadini sono il degno prodotto di questa società. Che indebolisce i suoi membri e fa di tutto per portarli, fin dai primi anni di vita, ad avere orrore dello scontro fisico. Salvo poi scandalizzarsi, in una versione ribaltata della stessa ipocrisia, per il fatto che in caso di necessità non accada il miracolo. Mannaggia: gli stessi individui addestrati da sempre a essere inermi non si sono trasformati all’istante nei paladini del Bene, pronti a combattere a mani nude contro i malvagi di turno.

Chi semina vento – ammonisce il proverbio – raccoglie tempesta.

Chi semina debolezza, raccoglie “indifferenza”.