Milano e non solo: le nostre città “a misura di criminale”

Di Gerardo Valentini

È accaduto di nuovo: un altro stupro a Milano. E se nella frase la parola più odiosa è stupro – questa violenza rivoltante che dovrebbe far ribollire il sangue a ogni uomo, proprio nel senso di noi maschi – la parte più inquietante è invece quella che precede il sostantivo. È “un altro”.

L’unica certezza, infatti, è che episodi di questo tipo si ripeteranno. Perché ci sono già stati in passato, ivi incluso quel passato prossimo che diventa un tutt’uno con il presente, e perché dipendono da una lunga serie di fattori che si sono accumulati nel tempo e che continuano a sussistere. Anzi, che tendono ad aggravarsi ulteriormente. Come è logico che sia quando un fenomeno sociale diventa così persistente da compenetrare l’habitat di intere città. 

Non solo Milano, dunque. Non solo dei luoghi specifici, come le stazioni ferroviarie e gli stessi treni. Non soltanto delle aree particolari che si possono evitare, specialmente in certi orari.

Quando il problema della “pubblica insicurezza” assume proporzioni tanto ampie, investendo quasi ogni zona e quasi ogni momento del giorno o della notte, significa che l’infezione si è radicata in profondità. E che nell’affrontarla, ammesso che lo si voglia fare davvero, bisogna cambiare approccio. Passando dalla gestione degli effetti alla rimozione delle cause. 

Laddove, evidentemente, per poter sperare di rimuoverle è indispensabile che prima le si metta a fuoco con precisione. 

Una precisione, diciamo così, spietata. Anche, o innanzitutto, nei confronti degli errori, degli abbagli, dei falsi miti di integrazione onnicomprensiva e di progresso collettivo automatico, che si sono disseminati in precedenza. 

Reprimere va bene, ma poi c’è tutto il resto

L’approccio consueto è quello tipico delle innumerevoli emergenze. Davanti agli episodi di cronaca che suscitano maggiore attenzione e maggiore allarme ci si mostra (finalmente…) determinati ad attivarsi in modo massiccio. Prendendo, o annunciando, contromisure “immediate”.

Vale a dire, come sta succedendo in questi ultimi giorni nel caso di Milano, un incremento delle forze dell’ordine nelle stazioni e più in generale, ma nei limiti dell’eterna scarsità dei fondi pubblici, nelle altre zone dove la probabilità di essere aggrediti è più marcata. 

In apparenza, e nelle intenzioni dei politici di turno, dovrebbero essere provvedimenti tempestivi e in grado di rassicurare i cittadini: lo vedete? Stiamo facendo tutto il possibile e lo stiamo facendo subito.

In realtà, per chi non sia così ingenuo da accontentarsi delle mobilitazioni di circostanza, è vero il contrario. L’unico atteggiamento convincente sarebbe quello di distinguere nettamente, e ufficialmente, tra i diversi piani di intervento. Chiarendo nella maniera più inequivocabile che l’obiettivo non è ostacolare un po’ i delinquenti che si sono abituati a imperversare, ma avviare un processo di risanamento a 360 gradi.

Bene gli agenti di polizia. Male solo gli agenti di polizia.

Bene le attività di prevenzione e repressione sul posto, ovvero nei luoghi più a rischio. Male la solita inerzia verso le sacche di marginalità che fanno da brodo di coltura ai delinquenti di oggi e a quelli di domani.

Uno degli aspetti più gravi e preoccupanti, infatti, è costituito dal numero imprecisato, ma cospicuo, di chi vive in una perenne “zona grigia” che rimane sostanzialmente al di fuori dei normali sistemi di organizzazione civile e di controllo sociale. Non soltanto le persone senza fissa dimora, che per definizione vagano di qua e di là e campano di espedienti o di veri e propri reati, ma anche quelle che pur avendo una residenza, o almeno una casa da abitare in modo continuativo, non hanno nessuna intenzione di lavorare e sono parte integrante di un tessuto criminale. A cominciare dallo spaccio di sostanze stupefacenti.

È su questo genere di patologie che vorremmo sentire discorsi adeguati e credibili. Per poi vedere delle iniziative sistematiche e dei miglioramenti tangibili.

D’altro canto, ma qui il ragionamento si fa ancora più complesso, ci piacerebbe che si puntasse il dito sul degrado generale della nostra società. Ovvero sugli stili di vita che si sono affermati, anch’essi sull’arco di parecchi decenni, e che pretendono di giustificare tutto in nome della libertà individuale. Riducendo a legittima gratificazione ogni forma di consumismo e a svago tutto sommato accettabile anche l’uso, cosiddetto “ludico”, della droga.

Se ognuno spadroneggia a modo suo, e irride qualsiasi richiamo etico liquidandolo come bigotto e insopportabile moralismo, capita fatalmente che i predatori legalizzati si trasformino in prede per ogni sorta di delinquenti. 

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