Match ball di Sinner: io a Sanremo? No

Di Gerardo Valentini

La pallina era insidiosa. Così morbida all’apparenza. Così ingannevole nella realtà.

La pallina l’aveva servita Amadeus, nella sua qualità di presentatore & direttore artistico del Festival di Sanremo: l’invito a partecipare al mega show che andrà in scena la prossima settimana, da martedì 6 a sabato 10 febbraio. Una passerella trionfale per celebrare, anche lì, la recentissima vittoria agli Australian Open.

Parole enfatiche e di circostanza: «E ora, un personaggio straordinario. Etc, etc. Abbiamo qui con noi…».

Gli applausi entusiastici dei presenti, destinati con ogni probabilità a culminare in una standing ovation. Quelli virtuali ma enormemente più numerosi dei telespettatori che seguono da casa. Tra i dodici e i quattordici milioni nella serata finale, stando ai dati dell’edizione 2023.

Nelle intenzioni, e nelle aspettative, era la classica offerta che non si può rifiutare. Secondo i codici del mainstream, e della televisione che li ripete e li amplifica h24, è il non plus ultra: fare l’ospite d’onore in un programma di grandissimo ascolto, senza nessun altro impegno che essere lì di persona a raccogliere, sorridendo, le lodi esorbitanti dell’imbonitore di turno e le acclamazioni a distanza del pubblico tv. 

Chi mai lo respingerebbe, un regalo del genere?

Punto, gioco, partita 

Yannik Sinner lo ha fatto. Reagendo da par suo. La pallina fluttuava morbidamente ma lui non si è lasciato ingannare.

Gli chiedevano una performance da giocoliere? Si erano sbagliati. Lui non è un giocoliere. È un giocatore. 

Il suo posto è in campo, non sul palcoscenico. Il suo scopo non è intrattenere la folla e deliziarla tra una canzone e un comico. E un altro “superospite”, da Zelensky l’anno passato a Gigliola Cinquetti in questa edizione.

Sinner ha detto di no. In modo garbato e per nulla polemico. Però l’ha detto.

«È un evento bello, ma sto facendo due giorni a Roma dopo l’Australia e quando dovrei andare a Sanremo sarò già a lavorare. Ed è quello che mi piace fare. Per questo non andrò al Festival.»

Vale la pena di rifletterci un momento. Senza fermarsi all’involucro. Alla cortesia con cui l’invito è stato rispedito al mittente. 

Un esempio. Non un idolo

La sostanza è che Sinner ha affermato di preferire il suo lavoro a ogni altra cosa. 

Perché, aggiungiamo noi, è lì che si esprime e si realizza. È lì che si mette alla prova e dà fondo alle proprie energie fisiche e mentali, sperando poi di raccoglierne i frutti. 

Il traguardo a cui tende è il successo sportivo, non quello mediatico. Mentre la vittoria sugli avversari è la verifica, concreta e indispensabile, la notorietà è niente di più che un riverbero. Gradevole ma accessorio. Per non dire superfluo.

Una visione, e una scala di valori, che sono la sua essenza. E che i moltissimi che oggi lo osannano, inebriati dal tifo e dal successo per interposta persona (o per interposta star), dovrebbero cogliere come un insegnamento da ammirare e da fare proprio. 

Non è affatto vero che “siamo tutti Sinner”. È vero, più semplicemente e con maggiore realismo, e con illuminante umiltà, che abbiamo tanto, tantissimo da imparare da uno come lui.  

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