Landini & compagni ci provano: la piazza siamo noi!

Di Gerardo Valentini

“Millantato seguito”.

La Cgil prova a rilanciarsi con la manifestazione nazionale di sabato scorso, alla quale si accodano a vario titolo esponenti del PD ivi inclusa la capintesta Elly Schlein, e i trionfalismi si sprecano. A cominciare da questo: «è la piazza di chi paga le tasse». 

Come no? Tutti gli altri che invece votano a destra, o che comunque non si riconoscono nell’adunata a tinte rosse (o rosé), sono notoriamente degli evasori incalliti. Tutti-tutti-tutti. Ossia, per rimanere sui dati delle ultime Politiche, gli oltre 12 milioni che hanno sostenuto l’attuale coalizione di governo. 

Così tanti eppure, tra loro, sembra che i lavoratori dipendenti e i pensionati non ci siano. O se magari ci sono rimangono una sparuta minoranza, sperduta in mezzo all’enorme massa di chi froda il fisco.

Manco a dirlo, la sbruffonata-slogan viene prontamente incorporata nel titolo di prima pagina di Repubblica. Mentre altri quotidiani del medesimo orientamento, dalla gemellina La Stampa al cuginetto Domani, ci mettono un pizzico – giusto un pizzico – di discrezione in più. 

Sulla prima la sviolinata viene posta parecchio all’interno, oscurata dagli attacchi di Hamas in Israele, e si traduce in un inneggiante “La piazza della Costituzione”. Sul secondo la si trova già in apertura, ma non troppo in grande e a metà tra celebrazione e auspicio: “L’opposizione sociale è viva. Landini e la nascita di un leader”.

Millantato seguito, appunto. 

Il reato non è previsto, nel Codice penale, e non ci stiamo affatto augurando che venga introdotto. Anche perché i casi da perseguire sarebbero un’infinità e i tribunali scoppierebbero, ancora più di quanto già non siano.

Sanzioni giudiziarie a parte, però, l’abuso rimane. E vale la pena di approfondirlo. Perché rientra in un tipico vizio del nostro sistema mediatico: l’assuefazione. Proprio perché il fenomeno è estremamente diffuso, e quindi sotto gli occhi di tutti, si finisce con l’ignorarlo.

Avallando così una delle mistificazioni fondamentali di quest’epoca: definire al singolare – “la piazza”, “il pubblico”, “il popolo” – ciò che viceversa è di per sé plurale. E che perciò nessuno, sia pure nelle ovvie forzature della propaganda politica, può pretendere di rappresentare in blocco.

Alla ricerca della credibilità perduta  

Ne abbiamo già scritto altre volte. E non è che moriamo dalla voglia di ribadire le stesse cose. 

Ma farlo diventa una sorta di necessità, visto che da parte della Sinistra questi atteggiamenti si ripetono. O addirittura si intensificano. Facendo finta che gli ultimi decenni non siano esistiti. Cercando in tutti i modi di riproporsi come gli alfieri della giustizia sociale e i paladini “dei deboli e degli sfruttati”, dopo essersi appiattiti sistematicamente sulle logiche della globalizzazione e sui diktat della Commissione Europea.

Basta un passaggio del discorso di Landini a piazza San Giovanni, per confermare questo travestimento grottesco. Quello in cui lui afferma che «abbiamo il dovere di cambiare il Paese, la società che con scelte sbagliate ha aumentato le disuguaglianze».

La società?!

Il segretario della Cgil ne parla in una chiave impersonale. Come se lui e i suoi (poverini) fossero arrivati qui in Italia la settimana scorsa e si fossero trovati di fronte a una realtà che è stata determinata da altri, senza che nessuno, nel mondo dei sedicenti progressisti, potesse farci alcunché. 

La verità è agli antipodi. L’odierna situazione socioeconomica è l’esito di spinte ben precise – che nel loro insieme configurano delle strategie complessive, di portata internazionale o persino planetaria – e che sono state assecondate dalle forze di centrosinistra. Un passettino alla volta, appellandosi alla fine della Guerra fredda e all’esigenza di superare il vecchio impianto marxista, si è spianata la strada a un mondo in cui la competizione economica è sempre più feroce e in cui la speculazione, innanzitutto finanziaria, la fa da padrona.

Ma quello che stride di più, in questi continui riposizionamenti, è l’ipocrisia con cui sono stati ammanniti all’elettorato di riferimento e, più in generale, all’intera cittadinanza.

Ci vorrebbe un po’ di pudore. Perché non è proprio lecito proclamare a gran voce di voler “cambiare il Paese”, quando si è stati tra i principali artefici di ciò che esso è diventato. 

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