FRANCIA: ADESSO CHE FARAI, MACRON, SENZA IL CONTROLLO DEL PARLAMENTO?

di Gerardo Valentini

La definizione USA, in circostanze analoghe, è sarcastica: “anatra zoppa”. Lo chiamano così, il Presidente che perde la maggioranza parlamentare. E che perciò, nonostante gli enormi poteri che la Costituzione americana gli attribuisce, non può più procedere a vele spiegate nella sua azione politica. Perché è venuta meno la certezza che le nuove leggi verranno approvate come lui le desidera.

In Francia, dopo le elezioni di domenica scorsa, Macron è precipitato nel medesimo pantano. La coalizione che lo sostiene è uscita dalle urne fortemente ridimensionata: sui 577 seggi a disposizione ne ha raccolti solo 246, quando in precedenza ne aveva quasi cento in più (341). Scendendo così ben al di sotto dei 289 che sono necessari per controllare l’intera assemblea.  

In aggiunta, ci sono due complicazioni. La prima è istituzionale: la Francia è una repubblica semipresidenziale e, quindi, l’autonomia e le prerogative di chi siede all’Eliseo sono meno ampie di chi sta alla Casa Bianca. La seconda è quella specifica del nuovo quadro politico: a trarre vantaggio dalla sconfitta/debacle dei filo Macron non è stato un unico partito, ma dei soggetti diversi. Profondamente diversi

A sinistra c’è stato l’exploit di Nupes, la Nuova unione popolare ecologica e sociale, che ha ottenuto 131 eletti e che, pur radunando forze di varia matrice tra cui il “Blocco ecologista”, è capitanata da un uomo di formazione comunista come Jean-Luc Mélenchon. 

A destra si è affermato il Rassemblement National di Marine Le Pen, con un exploit che è clamoroso in termini numerici (da 8 a 89 deputati) ma che è meno sorprendente se si guarda alle percentuali. Rispetto al 2017, infatti, le ha “solo” raddoppiate. Ciò che ha fatto la differenza, esorbitante, è che stavolta il maggioritario a doppio turno non ha impedito di trasformare in seggi i voti degli elettori. 

Questo, tra l’altro, ci ricorda una cosa importantissima: i sistemi maggioritari tendono a privilegiare la governabilità a scapito della rappresentanza. Ovvero, il mantenimento dello status quo a danno di chi promuove dei cambiamenti sostanziali. Ovvero, per essere ancora più chiari, il mantenimento del potere (e dei relativi benefici) nelle mani di chi ce l’ha già. Le oligarchie spadroneggiano, i cittadini subiscono.   

Guarda caso, la premier francese uscente, Elisabeth Borne, si è affrettata a lanciare l’allarme. Già di fronte agli exit poll ha gridato allo scandalo: «Una situazione senza precedenti, che costituisce un rischio per il nostro Paese».
Alle solite: quando parlano di “rischio per il Paese” stanno intendendo che a rischiare sono loro stessi. Loro che ne tirano i fili. Loro che ne godono i privilegi.