Famiglie omogenitoriali. Si riparte da Padova (ed era ora)

Di Gerardo Valentini

Lo sapevano benissimo, che qui in Italia non è previsto che un figlio abbia due mamme o due papà. Anziché, come accade da sempre, e come è insito nelle leggi naturali della procreazione, una madre e un padre. 

Mentre le coppie omosessuali sono lecite, visto che si tratta di adulti consenzienti, per i figli la minore età, che si estende dalla culla sino ai diciotto anni, esige una disciplina diversa. Nel convincimento, non esattamente strampalato, che un bambino deve poter crescere con genitori di sesso diverso. Così da relazionarsi fin dalla nascita, e via via nel lungo percorso della crescita, ossia della maturazione psicologica, tanto con la sensibilità maschile quanto con quella femminile.

Lo sapevano benissimo. E quindi ci si sono infilati da soli e deliberatamente, nella situazione odierna: con la Procura di Padova che ha impugnato le registrazioni anagrafiche di 33 bambini nati dal 2017 in poi, dando avvio a chissà quante altre iniziative analoghe. 

Perché il punto è proprio questo. A essere arbitrarie non sono le impugnazioni attuali, ma le iscrizioni fatte in precedenza. Nonché, come è ovvio, la condotta di quelle coppie che i bambini li hanno messi al mondo cercando di aggirare le norme nazionali. 

Qui da noi è vietato? Chissenefrega. Ce ne andiamo all’estero e lo facciamo lo stesso. Con l’inseminazione “eterologa”. O con la maternità surrogata, il cosiddetto “utero in affitto”. Dopo di che, oplà, rientriamo in Italia e mettiamo le autorità di fronte al fatto compiuto. Sperando che basti. Confidando nella combinazione perversa di due aspetti tipici, purtroppo, della nostra realtà istituzionale. 

Di qua la solerzia dei sindaci compiacenti, a cominciare da quello di Padova (Sergio Giordani, in carica appunto dal 2017 e sostenuto da una coalizione – ma va? – di centrosinistra). Di là le lentezze burocratiche per cui, in attesa che le pubbliche istituzioni si attivino, le anomalie si protraggono. Sino a rendere difficile, e quasi proibitivo, il ripristino della legalità.

Ma come? Dopo tanto tempo? Proprio adesso che ormai…? 

Un po’ di piagnisteo, un sacco di retorica

“Orfani per decreto”

La Repubblica di ieri apriva così. Con questo titolo enfatico e a caratteri cubitali. Che aveva lo scopo, evidentemente, di orientare la percezione dei lettori verso l’idea che si tratti di un danno ingiusto e drammatico. Un danno che viene inflitto proprio ai figli, prima ancora che alle due donne o ai due papà di turno.

La logica, si fa per dire, è che togliere la potestà genitoriale a uno dei due partner comporti delle ripercussioni inaccettabili, sia sul piano affettivo che su quello pratico. E perciò, come al solito, si grida allo scandalo. Ai diritti negati. Alle norme “disumane”. Ai sentimenti personali, e familiari, dilaniati dalla rigidità dei divieti.

Un’operazione – una mistificazione – che non è affatto nuova. E che ha il suo cardine in una parola di estrema suggestione come “diritti”. Una parola che evoca la categoria, celebratissima e interpretata in modo sempre più estensivo, dei “diritti universali”, nel presupposto che essi abbiano maggiore legittimità delle normative vigenti. 

I “diritti”, paradossalmente, che si contrappongono al Diritto.

I “diritti” si espandono a dismisura, facendovi confluire ogni sorta di desideri soggettivi, come se qualsiasi aspirazione individuale fosse un atto di libertà meritevole di riconoscimento sociale e giuridico.

Il “Diritto”, di contro, viene stigmatizzato come un retaggio oscurantista del passato, laddove non si affretti a concedere quell’avallo pressoché illimitato che il mondo progressista sollecita di continuo. E che in gran parte poggia sulle rivendicazioni in chiave LGBTQ+. Con affaccio, ahinoi, sulla Teoria Gender e sulla Cancel Culture.

Che l’approccio sia capzioso non c’è dubbio. Che ogni tanto si incagli, nel suo incessante tentativo di forzare le normative esistenti, è inevitabile.

Sempre su Repubblica, in chiusura dell’intervista a una delle “mamme” finite nel mirino della Procura di Padova, c’è questa interessante sequenza.

Domanda: Sapevate però che la Procura avrebbe potuto impugnare il certificato di Vittoria? 

Risposta: «Sì, ma da anni a Padova il comune registrava e trascriveva senza problemi. Vi sembra normale che lo Stato possa far scomparire una madre? Pensate a quei bimbi più grandicelli che si vedranno cancellare un cognome e scopriranno che per la legge le loro due madri non sono uguali. È crudele».

No, non crudele. Corretto. E ampiamente prevedibile.

A scommettere sulle sanatorie a volte si vince, ma altre volte si perde. 

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