Dalli a Vannacci: sospeso, querelato, indagato…

Di Gerardo Valentini

“Decisione tecnica”, dicono loro. Undici mesi di sospensione che sfiorano (prudentemente? ipocritamente?) il limite massimo di un anno. E che comportano il dimezzamento dello stipendio e la detrazione del periodo di punizione dall’anzianità di servizio. 

Motivazione del provvedimento: il fatto che il generale Vannacci abbia pubblicato senza una preventiva autorizzazione dei vertici militari il suo libro, l’ormai celeberrimo Il mondo al contrario, configura una “carenza di senso di responsabilità” e  comporta una “lesione del principio di neutralità e terzietà della Forza Armata”.

Il volume, inoltre, “compromette il prestigio e la reputazione dell’Amministrazione di appartenenza, ingenerando possibili effetti emulativi dirompenti e divisivi nell’ambito della compagine militare”.

Addirittura? 

Addirittura.

Mio dio: e se succedesse che?

Il ragionamento, chiamiamolo garbatamente così, è dunque che la decisione di Vannacci di esprimere pubblicamente le proprie idee sarebbe incompatibile con il suo ruolo di alto ufficiale dell’esercito. 

Innanzitutto, perché la sua presa di distanza dai modelli dominanti potrebbe preludere a una autonomia di più vasta portata. Della serie: oggi mi contesti in teoria, ma domani potresti farlo in pratica. E questa sola eventualità, questo solo sospetto, basterebbe a minare la fiducia collettiva nella succitata “neutralità e terzietà della Forza Armata”. I soldati, e a maggior ragione i più alti in grado, non devono entrare nel merito delle questioni sociali ma assicurare, in silenzio, la più totale ubbidienza a ciò che altri decideranno.

In aggiunta, poi, ci sarebbe il rischio che qualcun altro ne segua l’esempio. Mettendo in circolazione delle tesi ancora più dirompenti. Come è stato scritto a suo tempo, la mancata condanna dell’iniziativa di Vannacci “potrebbe giustificare tra dieci anni, ad esempio, un generale musulmano che inneggi pubblicamente all’adozione della sharia in Italia”.

L’avete notato, sì? 

È la fiera del “potrebbe”. L’eventualità, più o meno remota, spacciata per un pericolo incombente. 

In pratica, la censura preventiva. Anzi: la demonizzazione.

Troppo successo, ’sto libro

Vannacci non è stato soltanto sospeso dalle sue funzioni. Gli attacchi sferrati contro di lui sono parecchi altri. E si vanno moltiplicando. Passando, guarda caso, dal dibattito sulle tesi espresse alla loro valutazione in ambito penale. 

La Procura di Roma lo sta indagando per “istigazione all’odio razziale”. La pallavolista Paola Egonu lo ha querelato. Perché si è sentita offesa dalle parole presenti nel libro: “anche se italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”. 

La querela, in effetti, era stata ritenuta immotivata dal pubblico ministero. Ma lei ha impugnato il parere e la palla è passata al gup, il giudice dell’udienza preliminare.

Il filo rosso è evidente. È la tendenza, e la pretesa, di stroncare per via giudiziaria chiunque si azzardi a opporsi al dilagare del Verbo Progressista. 

Quello del “politicamente corretto”. Della “cancel culture”. Dell’inclusività obbligatoria e tassativa. Ossia dogmatica.

La vera colpa di Vannacci non è di essere un generale dell’esercito e di aver pubblicato il suo libro senza chiedere prima il permesso. Ciò che lo rende intollerabile è che non solo si è ribellato ai comandamenti dell’integralismo progressista, ma assai di più che Il mondo al contrario ha avuto, e continua ad avere, uno straordinario successo.

Svelando, o più semplicemente ricordando, che una gran parte di noi italiani non si è piegata all’omologazione in corso. E non ha nessuna intenzione di rinunciare a battersi per il diritto a pensarla diversamente. 

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