“Daje, Elly, pensaci tu!” Ovvero: il PD prova a salvare capra e cavoli

Di Gerardo Valentini

Qual è la capra? Quali sono i cavoli?

Ci arriviamo tra un attimo. Quello che è certo è che il PD, con le Primarie di domenica scorsa, ha fatto il suo estremo tentativo di salvare l’una e gli altri. 

La capra, nel senso dell’immagine da proporre agli elettori cercando di assicurarsene il voto. E i cavoli, nel senso del potere da esercitare nei diversi ambiti, istituzionali e non solo, che tanto piacciono agli apparati di partito, visto che è lì che risiede/alligna la loro vera ragion d’essere. 

Così (metaforicamente parlando, ci mancherebbe) la capra è diventata Elly Schlein. Grazie al voto aperto, anzi spalancato, di tutti quelli che si sono recati ai gazebo e che, senza nessun altro requisito che non fosse la disponibilità a versare i due euretti di contribuzione obbligatoria, hanno ribaltato il verdetto degli iscritti. 

Mentre questi ultimi si erano pronunciati in maniera netta a favore di Bonaccini, i partecipanti-passanti si sono espressi in maniera opposta: e quindi a guidare il PD sarà proprio lei, la donna con il triplo passaporto italiano, svizzero e statunitense – vai a capire in quale ordine – che si era candidata alla segreteria lanciando parole d’ordine tipicamente “di sinistra”. E che, a ridosso della vittoria, ha rivendicato la propria legittimazione a dare il via a un nuovo corso: «Il popolo democratico è vivo, c’è ed è pronto a rialzarsi con una linea chiara. È un mandato chiaro a cambiare davvero».

Certo. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. E per passare dalla teoria alla pratica non aiuta un granché la dichiarazione di Achille Occhetto (quello della “svolta della Bolognina” del 12 novembre 1989 con cui si avviò l’estinzione del PCI per poi riconvertirlo, a febbraio ’91, nel Partito Democratico della Sinistra) riportata ieri in prima pagina da Repubblica: «È entrata finalmente aria nuova. Ora fondere utopia e pragmatismo».

Rileggere, prego: “fondere utopia e pragmatismo”. Una frasetta-slogan talmente campata per aria che fa impallidire persino il proverbiale “ma anche” di Walter Veltroni.

Poverini: sul lavoro etc. si erano sbagliati

La verità è altrove. Ed è una verità semplice e brutale, che sta agli antipodi di questi tentativi, risibili, di tenere insieme delle istanze economiche e sociali che vanno in direzioni opposte.

Il PD, in linea con le sue precedenti versioni, è stato l’alfiere dell’appiattimento sulle scelte, e sui diktat, della Commissione Europea. Quello, appunto, sempre pronto a sollecitare ubbidienza totale alle direttive e ai moniti provenienti da Bruxelles, spacciandoli per la quintessenza della lungimiranza politica e della buona amministrazione. 

Basterebbe ricordare il ruolo di Romano Prodi all’epoca dell’Ulivo, per avere la smaccata conferma di questo orientamento costante e per nulla casuale. Ma anche senza andare così indietro, sono gli ultimi dieci anni a togliere ogni eventuale dubbio. Il lungo, lunghissimo, asfissiante periodo che si snoda da fine 2011, con l’estromissione di Berlusconi a colpi di spread e con l’avvento di Mario Monti, per poi concludersi a cavallo tra 2021 e 2022 con l’esecutivo guidato da Mario Draghi. 

L’asservimento del PD, in tutto questo tempo, è sotto gli occhi di tutti. E risalta particolarmente nel campo del lavoro dipendente. Con l’alibi che i processi della globalizzazione non si potevano contrastare in alcun modo si è spianata la strada al dilagare dei contratti a termine e di ogni altra forma di rapporti precari. Spesso, per di più, sottopagati e ricattatori. 

La scusa che è stata accampata, nell’avvicinarsi delle Politiche del 25 settembre e nella necessità, quindi, di rifarsi il look, è riassunta nelle parole di Enrico Letta. Che in un’intervista al quotidiano La Stampa cercò di ridurre tutto a una mera disattenzione: «Negli anni scorsi abbiamo perso il rapporto col mondo del lavoro, il nostro partito ha sottovalutato la trasformazione di quel mondo, la precarietà, la necessità di protezione anche da eventi che vengono da fuori. Ma in questa campagna elettorale – si precipitò ad aggiungere – vogliamo rimettere al centro il tema: meno tasse sul lavoro, aggressione del lavoro nero, basta stage».

L’operazione che ha portato all’investitura di Elly Schlein è lo stadio successivo del medesimo travestimento. Si finge di fare autocritica ma in realtà ci si autoassolve. Oops, ci eravamo sbagliati. E da oggi in poi, credeteci, ci trasformeremo nei paladini dei deboli e degli oppressi.

Come no?

Ne riparliamo al prossimo richiamo, perentorio, in arrivo dalla BCE. O da Washington. O da qualcun altro dei potentati che dominano il mondo occidentale e ai quali i vari PDS-DS-PD si sono sempre e sollecitamente prostrati. 

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