DÀI, DI MAIO: CHE MAGARI SCOMPARI

di Gerardo Valentini

Ma c’è davvero bisogno di commentarlo, un personaggio come Di Maio?

Il dubbio ti viene. Ti viene paragonando il suo passato con gli sviluppi successivi. Le sue posizioni oltranziste di un tempo, quando il repertorio era quello tipico dei grillini anti-tutto, con quelle poltronziste degli ultimi tre anni, quando il campionario da imbonire è diventato, oplà, quello della stabilità di governo e del totale allineamento ai modelli dominanti: evviva Mattarella, sia lode a Draghi, che meraviglia la UE, meno male che c’è Washington che ci guida, ci protegge, ci illumina. 

Accantoniamo i sarcasmi, però. Proviamo a stabilizzare i sogghigni istintivi e a trasformarli in concetti espliciti. Fissando non solo le responsabilità individuali dello stesso Di Maio ma anche, o soprattutto, quelle di chi gli ha permesso di concretizzare le sue mire. Risibili in termini assoluti. Inquietanti per come si sono realizzate.

Su di lui, sul suo spessore etico e politico, ce la si può cavare in fretta. Basta ricordare come non si sia posto minimamente il problema di rendere conto dei suoi totali capovolgimenti di giudizio e di condotta. Vedi, tra i tanti, questa requisitoria, del 2017, in cui tuonava contro «i voltagabbana del Parlamento. Un vero e proprio mercato delle vacche che va fermato».

Ciò che richiede un maggiore approfondimento, invece, sono le dinamiche che lo hanno assecondato. E addirittura, tout court, creato. Permettendogli di emergere dal nulla e di compiere la sua rapidissima ascesa. Da perfetto sconosciuto della provincia napoletana a capo politico del M5S e infine, per incredibile che possa sembrare viste le sue (in)competenze specifiche, addirittura ministro degli Esteri.

Di Maio: la degna creatura di Grillo & C. 

I colpevoli sono più di uno. E si distribuiscono sull’intero arco che va dai vertici dei Cinquestelle, partendo dal cosiddetto garante Beppe Grillo, per poi discendere via via fino agli elettori che lo hanno comunque votato. Così come hanno votato tantissimi altri carneadi che sono stati ben lieti di acchiappare al volo il treno per Montecitorio o Palazzo Madama, senza neanche il buon gusto di restare fedeli per l’intera legislatura a chi li aveva oggettivamente miracolati.

Bisogna essere molto netti, su quest’ultimo punto. Che le massime responsabilità del suicidio politico del MoVimento ricadano proprio su Grillo, che da implacabile Savonarola si è trasformato in cervellotico tessitore di alleanze e connivenze, è fuori di dubbio. Ma ciò non significa che si debbano concedere assoluzioni a cuor leggero a chi si è lasciato abbindolare da ogni sorta di iperbole. A cominciare dalla famigerata, e ormai men che cabarettistica, “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”.

Sarebbe ora di impararlo una volta per tutte, invece. Chiunque prometta soluzioni istantanee, per bonificare l’Italia, sta tentando di ingannarci. L’intricatissimo groviglio di interessi che attraversa la nostra società e che si estende, eccome, alle relazioni internazionali, si è formato lungo decenni e decenni, per cui è semplicemente impossibile scioglierlo, o reciderlo, dall’oggi al domani. Ambire a una palingenesi è legittimo. Illudersi che sia a portata di mano è stupido. È il miglior favore che si possa fare a chi detiene il potere.

Di Maio è forse un caso limite, ma di sicuro non è il solo. E men che meno resterà l’ultimo. Quella dei “Bravi giovani che cambieranno il mondo” è una fiction ad altissimo ricambio di attori. Molti ne spuntano, quasi altrettanti ne spariscono. Oppure, se anche non escono definitivamente di scena, finiscono ai margini.

Il futuro di Giggino, oggi, è appeso al fatto che il Pd gli voglia concedere una scrittura per la prossima stagione parlamentare, nella coalizione di centrosinistra che cercherà di sfuggire a una sconfitta annunciata. Ma chissenefrega, in fondo, se lui ci sarà o non ci sarà.L’importante, per chi non lo avesse già fatto, sarà aver imparato che delle apparenze e delle semplificazioni è sempre meglio non fidarsi. Un vero popolo-sovrano è innanzitutto un popolo esigente con chi si candida a rappresentarlo.