Costi della crisi: la Germania fa da sola. E gli altri si arrangino

di Gerardo valentini

L’unione fa la forza, recita il proverbio. In questo caso, invece, la forza fa l’esatto contrario. Se ne frega delle sorti comuni e si preoccupa solo di quelle individuali. La forza di uno, la Germania, si scarica sugli altri membri dell’Unione (europea) e li molla in mezzo al guado. 

Di fronte all’incombere della catastrofe socioeconomica dovuta ai prezzi esorbitanti dell’energia, il governo di Berlino decide di procedere per conto suo. Attenuando il più possibile, a colpi di risorse pubbliche, l’impatto di quegli incrementi pazzeschi sulla vita dei suoi connazionali. Sul loro presente. Sul loro futuro.

«Apriamo un grande ombrello – ha dichiarato il Cancelliere Olaf Scholz – che permetta a tutti, i cittadini, i lavoratori e anche le imprese, di affrontare l’aumento dei prezzi del gas. Questo ombrello che farà da freno al prezzo del gas sarà finanziato con un fondo per la stabilizzazione economica pari a 200 miliardi di euro». E gli stessi provvedimenti, qualora fosse necessario, verranno adottati «anche oltre il prossimo anno».

Appunto: noi facciamo da soli, visto che le nostre finanze statali ci consentono di spendere cifre così ingenti, e voi arrangiatevi come potete. Se ne sarete in grado, buon per voi. Altrimenti… 

Altrimenti – ed è chiaro a tutti che non si tratta di semplici ipotesi – chi non è in grado di permettersi interventi analoghi dovrà ripiegare su misure più modeste. E assai meno risolutive. Misure che fatalmente, visti i vincoli di bilancio dei Paesi più indebitati, a cominciare proprio dall’Italia, non riusciranno a evitare quei pesanti contraccolpi che la Germania si vuole risparmiare grazie al miglior stato dei propri conti erariali.

Ma che fine fa, allora, la famosa solidarietà europea? Come si concilia l’irrigidimento unilaterale della Germania con la decantata munificenza del PNRR quale risposta collettiva, corale, comunitaria, ai costi della pandemia da Covid-19?

In altre parole: quello di Berlino è uno strappo occasionale, rispetto all’idea (o al mito) di una UE che ha a cuore tutti i suoi membri e ne prefigura il consorzio in una federazione a pieno titolo, o viceversa è la potente dimostrazione che su questo tema la retorica prevale di gran lunga su ciò che accade davvero?

E intanto, il ministro Cingolani…

Antonio Polito, sul Corriere della Sera di ieri, ha cercato di cavarsela impartendo ai lettori una lezioncina di realismo. Sottintendendo che solo gli ingenui, per non dire gli sciocchi, possono aver equivocato sull’effettiva natura dei rapporti interni alla UE. La cui chiave di volta “non è la pace perpetua nella competizione tra Stati, ma ne è il campo da gioco unico, il sistema di regole comuni”.

Ergo, non bisognerebbe sorprendersi, né tantomeno scandalizzarsi, per il fatto che il governo tedesco abbia badato solo ai suoi interessi nazionali. Così fan tutti, annota l’editorialista. E se qualcuno è più debole di altri, eh beh, così va il mondo…

D’accordo. Diamolo per acquisito. 

Il passaggio logico successivo (anzi: precedente) è chiedersi come quegli stessi rapporti di forza si riflettano proprio sull’elaborazione delle succitate “regole comuni”. Non sarà, alle volte, che nel predisporle, e poi nell’imporle, l’obiettivo non sia stato affatto quello di accrescere l’equità complessiva ma di rafforzare il privilegio di alcuni?

La questione è cruciale. Introdurre delle norme di carattere generale, infatti, non comporta di per sé mettere tutti i destinatari sul medesimo piano. Al contrario: in molti casi, ciò che viene fissato per legge rispecchia delle disuguaglianze preesistenti e ne consolida le dinamiche, trasformando in dato oggettivo e apparentemente super partes i meccanismi su cui le iniquità si sono basate. 

Parlare seriamente di Unione Europea significa ragionare innanzitutto su questo. Su come “il gioco” sia stato organizzato e su quali soggetti ne abbiano tratto, e continuino a trarne, i maggiori vantaggi. È solo chiarendosi una volta per tutte su queste innumerevoli e incessanti pressioni, che si può venire a capo dell’insofferenza popolare nei confronti di Bruxelles e di Strasburgo.

L’etica non c’entra. Il buon cuore men che meno. È un intreccio di interessi e come tale va trattato. Alla Germania che pensa solo a sé stessa e abbandona i “fratelli europei” ai rigori dell’inverno, e agli spettri di una recessione sempre più probabile, si dovrebbe dire chiaro e tondo che non verrà considerato un dettaglio. Ma un atto ostile. Espressione di un egoismo strutturale, e strategico, che viene pesato esattamente per quello che è. 

Il ministro Cingolani, invece, non trova di meglio che convocare l’ambasciatore russo, Sergey Razov. L’iniziativa, precisa la Farnesina, è stata presa di comune accordo con l’Unione Europea. L’idea è di chiedergli dei chiarimenti sul sabotaggio del gasdotto North Stream. 

Figurarsi la risposta.