Chi ha paura del Pacchetto Sicurezza?

Di Gerardo Valentini

“Securitario”.

È una delle parole preferite dei progressisti, insieme a “giustizialista” e relative varianti: appena si prospettano delle norme più rigorose – e spesso non è che ci voglia un granché, visto il lassismo di certe leggi e, soprattutto, di troppe sentenze – l’accusa si ripete in modo automatico. 

Oddio, eccolo: il demone dell’autoritarismo che torna a mostrarsi. L’anticamera della dittatura. Il nuovo fascismo che avanza. 

Giovedì scorso il Consiglio dei Ministri ha presentato il suo “pacchetto sicurezza” (che in effetti è un ddl, da sottoporre al vaglio del Parlamento) e le reazioni del PD e dintorni, stampa amica compresa, sono scattate come da copione. 

La Repubblica: “Una raffica di nuovi reati. Madri detenute con figli piccoli”. Domani: “La faccia feroce del governo Meloni. Più armi e donne incinte in carcere”. La Stampa: “Agenti armati anche in borghese”.

Tutti e tre sono titoli di prima pagina. Il secondo e il terzo con ancora più evidenza: piazzati/sparati in apertura. Hai visto mai che a qualcuno potesse sfuggire, una notizia di tale gravità…

«L’unico istinto che hanno – insorge a sua volta Francesco Boccia, presidente dei senatori PD – è quello securitario, quello di aumentare pene e spaventare il Paese. La verità è che questo governo pensa di rassicurarlo con provvedimenti di propaganda mentre lo rende più fragile smantellando sanità pubblica e attaccando il diritto dei lavoratori.»

Borseggiatrici seriali, etc. etc.

Come si dice, e come direbbero loro stessi a parti invertite, Boccia mischia le mele con le pere. La Giustizia è una cosa, la Sanità pubblica un’altra e “il diritto dei lavoratori” un’altra ancora.

Inoltre, aumentare le pene non significa affatto “spaventare il Paese”. Al contrario: si individuano dei problemi reali, vedi l’impunità delle borseggiatrici che evitano sistematicamente il carcere perché sono incinte o con figli di età non superiore a tre anni, e si iniziano a mettere degli argini. Non avendo mano libera, poiché ogni innovazione deve comunque innestarsi sulle normative preesistenti e sulle tendenze giurisprudenziali più o meno consolidate, si è costretti ad agire per gradi.

Il messaggio, agli antipodi della volontà di diffondere allarmismi ingiustificati, è persino elementare. C’è una premessa e si traggono delle conclusioni. C’è una lacuna e si cerca di colmarla.

Il punto di partenza è indiscutibile: in parecchi ambiti l’attuale sistema sanzionatorio non ha un adeguato potere di deterrenza. Il Pacchetto Sicurezza affronta, in particolare, due reati tanto odiosi quanto sottovalutati: le truffe ai danni degli anziani e l’occupazione abusiva e criminale delle case già abitate dai legittimi inquilini. 

In una miriade di occasioni, purtroppo, i delinquenti agiscono sapendo benissimo che hanno ottime probabilità di farla franca o di cavarsela a buon mercato. Quand’anche le norme vi siano, e le forze dell’ordine abbiano modo di applicarle, le lungaggini dei processi giocano a loro vantaggio. Campa cavallo… che la condanna si allontana. Fino a ridursi a poca cosa. O a svanire del tutto.

Il punto d’arrivo – o per meglio dire “di transito” poiché si pone pur sempre nell’ottica di un miglioramento complessivo che, in quanto tale, non si può raggiungere tutto insieme – è che intanto si fa quello che è a portata di mano. Muovendosi su tre direttrici: uno, si aumentano le pene previste; due, si limitano le scappatoie (come nel caso delle succitate borseggiatrici, che al momento possono contare sul fatto che oggi il magistrato ha l’obbligo di non mandarle in carcere sospendendo la pena a tempo indeterminato, mentre con il nuovo ddl quell’obbligo si trasformerà, se non altro, in una semplice facoltà); tre, si aumentano le opportunità di intervento da parte degli agenti di polizia etc. anche fuori dall’orario di servizio, autorizzandoli a portare con sé un’arma più leggera e maneggevole rispetto a quella d’ordinanza. 

Una tendenza da invertire

Chiaro: non è che attraverso queste misure si perverrà d’incanto all’annullamento, o quasi, dei fenomeni in questione. Ma la domanda, di puro buon senso, è anch’essa elementare: sarebbe meglio lasciare tutto com’è?

Personalmente lo abbiamo già scritto nel settembre scorso riguardo al “decreto Caivano”, che peraltro è stato appena convertito in legge.

“La repressione da sola non basta. Quando i reati sono gli effetti di un degrado sociale ad ampio o amplissimo raggio, la via giudiziaria non è sufficiente ed è sulle cause che bisogna intervenire.”

Ma il punto cardine è che un approccio non esclude l’altro. Nell’immediato si reprime e in prospettiva si risana. Il bersaglio sono i delinquenti abituali, non le libertà civili dei cittadini.

Quando un metodo fallisce, sostituirlo non è solo un’opzione legittima. È un dovere assoluto. E urgente.

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