Case “green”: la UE si fa bella, i cittadini pagano il conto

di Gerardo Valentini

Tuttora in elaborazione, ma ormai incombente. Parliamo della direttiva UE che il prossimo 9 febbraio riprenderà il suo iter andando all’esame da parte dell’Itre, la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. Un esame che si preannuncia tutt’altro che agevole, visto che ci sono già oltre 1.500 emendamenti. Dovuti, per lo più, alle forze di centrodestra.

Le intenzioni della normativa sono nobili, o così si presentano: abbattere le emissioni di gas serra nel territorio dell’Unione Europea, procedendo a tappe forzate e ad ampio raggio. Ossia in molteplici settori tra cui i trasporti, l’agricoltura, il patrimonio immobiliare e la gestione dei rifiuti. 

Primo traguardo il 2030, con una riduzione del 55 per cento rispetto al 2005. Meta finale il 2050, arrivando addirittura al non plus ultra delle “emissioni zero”. 

Per chi voglia saperne di più, le informazioni sono agevolmente reperibili sul sito istituzionale della stessa UE. Anche se poi, come sempre, è altamente consigliato non fermarsi alla versione ufficiale e approfondire altrove. L’oste magnifica il suo vino e non è una sorpresa: fa il suo mestiere. L’avventore non è tenuto a dargli retta: è un suo diritto.

Ma rimaniamo sulla questione principale, richiamata nel titolo. Le case “green”. Ovvero l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni, che è definita da dieci classi di appartenenza e che va dall’optimum della categoria di vertice, la A4, sino al punto più basso che corrisponde alla lettera G.

L’intento, sia pure con una serie abbastanza ampia di eccezioni quali gli immobili dei centri storici e le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno, è di eliminare le situazioni peggiori e portare tutti gli edifici residenziali a rientrare dapprima nella classe E, appunto entro il 2030, e poi in quella D, entro il 2033. 

In teoria suona bene. In pratica molto meno. 

Centrodestra in rivolta. Come è giusto

Il problema è il solito. L’ansia di raggiungere, o di esibire, i risultati voluti prevale su tutto il resto. L’Europa – a cominciare da quella Commissione UE che è la vera cabina di regia delle decisioni comunitarie – non tiene nel debito conto le differenze esistenti tra i diversi Stati. 

Vale a dire, nel caso dell’Italia, due aspetti essenziali.  

Il primo è che un grandissimo numero di abitazioni è stato costruito quando le norme non obbligavano a rispettare gli standard sopravvenuti in seguito. I dati indicano quasi un 60% di case in categoria F o addirittura G. Sulle quali, perciò, bisognerebbe intervenire in modo massiccio e dispendioso, con cospicui lavori di coibentazione che vanno dai “cappotti termici” agli infissi etc. 

Il secondo è che la massima parte di questo patrimonio è posseduto da privati cittadini e non da società immobiliari o da altre imprese con un’elevata capacità di spesa. Soprattutto per i piccoli proprietari, quindi, i costi di ristrutturazione diventerebbero un onere gravoso o persino insostenibile. Tanto più in un quadro economico di grande e persistente difficoltà. Che, oltre a non essere mai uscito del tutto dalla crisi scaturita negli USA nel 2007-08, negli ultimi tre anni è stato investito dagli enormi contraccolpi sia delle misure anti Covid, sia della guerra in Ucraina.

La domanda, di fronte a questi obblighi più o meno proibitivi, è elementare. Ed è assurdo che le autorità UE non se la siano già posta, prospettando le relative soluzioni.

La domanda è cosa dovrebbero fare i privati, le famiglie, che non siano oggettivamente in grado di tirare fuori i soldi necessari. Che cosa si immaginano, a Bruxelles? Che accendano dei mutui ad hoc, magari in aggiunta a quelli che stanno già pagando proprio per l’acquisto della casa in cui abitano? E a quali tassi? A quali condizioni?

L’unica nota positiva, come ricordavamo in apertura, è che le forze di centrodestra appaiono intenzionate a dare battaglia. E quelle che sostengono il governo Meloni sono in prima fila. 

Il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, lo dichiara senza mezzi termini: «Vigiliamo affinché questa norma non sia il tentativo dell’Ue di rifilare all’Italia una patrimoniale camuffata che va a ledere i diritti dei proprietari ». I deputati leghisti Stefano Candiani e Alessandro Giglio Vigna si spingono anche oltre: «La piega che sta prendendo il documento per la revisione green costituisce una totale follia. La Lega farà di tutto per scongiurare l’introduzione di una norma tanto folle e devastante per l’Italia, frutto di un’idea green surreale e molto politicizzata».

Politicizzata, ovvero propagandistica. Propagandistica, ovvero manipolativa.

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