CALENDA MOLLA IL PD. CERTO: PER MOTIVI “IDEALI”

di Gerardo Valentini

Manco una settimana, dal 2 agosto in cui l’avevano ufficializzato in pompa magna, e il patto elettorale tra il Pd di Enrico Letta e Azione di Carlo Calenda è già finito. Stracciato pubblicamente, cioè a favore di telecamera, dallo stesso Calenda. 

L’occasione è stata la puntata di ieri di “Mezz’ora in più”, la trasmissione tv condotta da Lucia Annunziata la domenica su Rai3. L’antefatto è la decisione del segretario PD di tirare a bordo anche i cosiddetti rossoverdi di Fratoianni e Bonelli. Una decisione che a Calenda non è andata giù. Poiché quei due, e i loro seguaci, non solo sono contrari alla meravigliosa Agenda Draghi ma addirittura lo rivendicano a gran voce. E pertanto, nonostante l’acrobatico distinguo di Letta tra “coalizione elettorale” e “coalizione di governo” la loro presenza è intollerabile. Ergo, fine dell’accordo e strade separate.

Calenda si atteggia a idealista. Sottolinea già in apertura che la sua è una scelta assai sofferta. Afferma di essere stato ingenuo a «credere che il PD fosse pronto a fare la sua Bad Godesberg [il congresso straordinario con cui, nel 1959, la SPD tedesca si rifondò come partito socialdemocratico e archiviò il marxismo] e a decidere che la Sinistra la rappresentavano loro, senza dover correre dietro a Fratoianni, Bonelli e, domani, ai 5 Stelle». 

Niente paura, però. Calenda assicura che lui tirerà dritto. Se i piddini non possiedono quella chiarezza di idee e quel coraggio politico, lui sì che ne è provvisto. Eccome. La sua speranza, infatti, è tracciare «una strada che riavvicinerà tantissime persone che oggi non vanno a votare e che gli farà sentire che la politica ha un elemento ideale che non può essere messo in un cassetto e che questo elemento ideale non può essere sempre e solamente “gli altri sono cattivi”».

C’è del vero? Certo che c’è. Nel Pd le ambiguità si sprecano e nel centrosinistra non c’è mai stata una vera sintesi tra le diverse matrici. Le spinte egualitarie, o sedicenti tali, si sono via via ristrette ai soli “diritti civili”. Mentre le scelte di governo, specie sul versante socioeconomico, si sono appiattite sulle linee guida del liberismo internazionale

Con la retorica dei diritti civili ci si candeggiava la coscienza. Con l’ubbidienza ai modelli dominanti ci si garantiva il prosieguo della carriera. 

Oggi un addio. Ma domani…

C’è un errore che non va mai fatto, in politica. È quello di dare credito alle contrapposizioni di facciata, anziché concentrarsi su ciò che viene fatto, o non fatto, in Parlamento e nelle altre sedi istituzionali. 

La levata di scudi di Calenda, così come le repliche più o meno dure che l’hanno subito seguita, da parte sia del PD e dei rossoverdi, sia di +Europa, va interpretata in chiave soltanto elettorale e non deve essere minimamente confusa con i futuri schieramenti riguardo alle decisioni concrete. 

Se questa distinzione è sempre vera, lo diventa ancora di più in una fase come quella attuale. In cui i partiti “di sistema” devono sforzarsi di recuperare almeno un po’ di terreno nei confronti del dilagante astensionismo. Il tentativo, che al di là delle apparenze conflittuali unifica tanto Letta quando Calenda, esige che si lancino agli elettori delle esche diversificate, nella speranza di intercettare quanti più soggetti possibile all’interno della nebulosa del malcontento.

L’importante è raccogliere (raccattare) i voti: poi, una volta superate le elezioni, quello che si sarà acquisito, o racimolato, verrà gestito a piacimento. Incanalando quei consensi eterogenei là dove serve. 

Che la si chiami “Agenda Draghi”, o in qualsiasi altro modo, è del tutto secondario. Le etichette cambiano di volta in volta, ma il prodotto è già da molto tempo lo stesso. 

Non li riconoscete gli ingredienti? Non li vedete gli effetti?