Benvenuto, governo Meloni. Benvenuta, “pace fiscale”

Di Gerardo Valentini

Non è vero che tutti i condoni sono uguali. E ancora meno uguale agli altri, ai tanti o tantissimi che si sono susseguiti in passato, è quello che il nuovo governo dovrebbe varare. Per raggiungere uno degli obiettivi espressamente indicati nel programma elettorale della coalizione di centrodestra e, più precisamente, quello inserito nel punto 4: “Pace fiscale e ‘saldo e stralcio’: accordo tra cittadini ed Erario per la risoluzione del pregresso”. 

Questo obiettivo, del resto, rientra in una prospettiva molto più ampia. E del tutto condivisibile. Arrivare a una “semplificazione degli adempimenti e razionalizzazione del complesso sistema tributario”, instaurando un “rapporto più equo tra Fisco e contribuenti: procedure semplificate, onere della prova fiscale a carico dello Stato, riforma della giustizia tributaria e superamento dell’eccesso di afflittività del sistema sanzionatorio”.

Si tratta di principi sacrosanti. Che dovevano essere posti già da moltissimo tempo, per non dire da sempre, alla base dell’intero sistema fiscale. Nonché, più in generale, di qualsiasi relazione tra cittadini e pubblica amministrazione, in ogni suo ramo e in ogni suo aspetto. I cittadini non sono sudditi e lo Stato non è lì per complicargli la vita ma, esattamente al contrario, per rendergliela meno onerosa possibile.

Concentriamoci, però, sul nuovo condono. Sperando che sia tra i primi atti ai quali il nuovo Esecutivo metterà mano, con il conforto della sua ampia maggioranza parlamentare sia alla Camera sia al Senato. 

Emanarlo non è solo utile. È necessario. È indispensabile. 

In aggiunta ai motivi più evidenti, che discendono dalla mole esorbitante degli adempimenti e dall’ammontare dei relativi esborsi, ce n’è un altro che potrebbe sfuggire. Mentre invece è essenziale.

Sono finiti i lockdown, non le loro conseguenze

Comunque le si giudichi, è innegabile che le misure adottate nell’ambito dell’emergenza Covid abbiano avuto un impatto spaventoso: innumerevoli imprenditori e professionisti sono stati messi alle corde, o peggio, dai lockdown e affini. Già subissati dai “normali” carichi tributari, si sono trovati esposti a ripercussioni ancora più gravose.

I governi in carica non hanno fatto abbastanza, per tutelarli. L’atteggiamento, assurdo, è stato fingere che l’emergenza Covid fosse nulla di più che una parentesi occasionale, da lasciarsi alle spalle senza troppi problemi. Finite le restrizioni, dissolte le conseguenze. 

Oplà. Al pari di un individuo che supera l’infezione del virus e torna subito al suo consueto stato di saluto, la generalità degli operatori esce risanata all’istante e senza nessuno strascico da quel biennio, e oltre, di straordinario e incessante malessere

Non è così. Proprio per niente.

Durante quel prolungato calvario, per moltissimi di loro gli introiti si sono drasticamente ridotti. O sono addirittura crollati. A causa di ciò, e dunque senza alcuna colpa, non c’è stato modo di versare all’Erario quanto dovuto.

Ecco perché, come abbiamo scritto all’inizio, il nuovo condono non sarebbe affatto come gli altri. E non lo si potrebbe tacciare, come al solito, di costituire un premio agli evasori, nonché una beffa a danno di chi il proprio dovere lo ha fatto.

Le circostanze attuali, dopo tutto ciò che è accaduto dal marzo 2020 in poi, sono obiettivamente diverse. Sono davvero eccezionali e su vasta o vastissima scala. Permettere a chi è stato danneggiato di non subire ulteriori salassi, nei suoi rapporti col fisco, non è un regalo a chi si è comportato male e perciò non se lo merita.

È il minimo supporto che lo Stato deve assicurare a chi è riuscito a non chiudere la propria attività, come purtroppo è toccato a tanti altri, e oggi sta cercando, a fatica, di rimettersi in piedi.