Alessandria, intorno a mezzanotte. Una giovane donna sta per buttarsi da un ponte…

Di Gerardo Valentini

Sì, è una vicenda di cronaca. Ma merita un approccio diverso. Più attento. Più persistente. Agli antipodi di ciò che succede di solito: accensione rapida della curiosità, spegnimento altrettanto veloce. Uh, interessante. Ok, passiamo oltre.

La vicenda è quella accaduta due giorni fa ad Alessandria. Poco prima della mezzanotte i Carabinieri vengono avvisati che c’è una donna di 27 anni in procinto di uccidersi: ha scavalcato il parapetto di un ponte, il grande Ponte Meier che collega le due sponde del Tanaro, con un’arcata che nel punto più elevato supera i trenta metri di altezza, e da lì ha fatto una videochiamata alla madre per dirle ciò che stava per fare. La mamma, e si può immaginare con quale terribile apprensione, ha telefonato al 112. Ha chiesto aiuto. Si è messa nelle loro mani. Ammesso che ce ne fosse ancora il tempo.

La pattuglia si è mossa subito. Ma con l’accortezza, la saggezza, di arrivare a luci spente e senza sirena: nella mente sconvolta della ragazza non si doveva aggiungere nessun altro fattore di tensione. Se è vero che il suicidio, spesso, è un atto di estrema e paradossale affermazione contro il mondo, contro chiunque non abbia voluto o potuto aiutarti, l’intervento delle forze dell’ordine rischiavadi esasperare quel conflitto, spingendolo al punto di non ritorno. Il tentativo di salvataggio percepito come un’ennesima imposizione. Della società. Degli altri

Così, dell’equipaggio, si è fatto avanti uno solo. Il quarantenne Salvatore Germanà, siciliano di Leonforte, in provincia di Enna. Arruolato nell’Arma dal 2005. Quasi vent’anni di servizio in cui ha fronteggiato molte situazioni difficili, ma mai di questo tipo. E del resto, di fronte a una persona che sta per ammazzarsi, con la psiche lacerata dalla sofferenza e senza più niente in cui credere, ogni caso fa storia a sé. 

Bisogna trovare una chiave per aprire, per riaprire, una serratura bloccata. Non esiste nessun passepartout che ti assicuri di riuscirci.

Raccontalo tu, che lo hai vissuto

«Era molto diffidente all’inizio ma, chiamandola per nome, ho conquistato la sua fiducia. Avevo davanti a me una persona giovane, con tante fragilità. Stava ascoltando una canzone sul cellulare usando gli auricolari, mi sono avvicinato, le ho chiesto il permesso di sedermi accanto a lei e mi sono fatto dire il titolo. Abbiamo iniziato a parlare di musica rock, lei ha cominciato ad avere fiducia in me. Poco per volta mi ha lasciato avvicinare, mi ha detto delle sue paure, dei problemi che temeva di non essere capace di affrontare. E io ho cercato di farle capire che avere debolezze è umano, che anche io ho delle fragilità, che conoscevo il suo stato d’animo. Ci siamo confidati a vicenda. E lei ha capito che poteva esserci speranza. Ci siamo detti molte cose personali che rimarranno nostre».

Eccola, la chiave. Creare un’opportunità di vicinanza, non simulata ma autentica, e annullare così la sensazione di una distanza, di una lontananza, che si è via via ampliata sino ad apparire incolmabile. E perciò insostenibile.

Ma c’è un altro elemento che è doveroso sottolineare. Il carabiniere che ha portato a termine questo drammatico soccorso lo ha fatto mettendo in gioco la propria vita. Non per un solo istante, o nella concitazione di un’emergenza che per quanto pericolosa è comunque breve, ma nel lento, lentissimo snodarsi di una trentina di minuti. Duranti i quali, in ogni singolo momento, l’aspirante suicidaavrebbe potuto essere travolta dal suo desiderio di farla finita e “decidere” di saltare nel vuoto, trascinando con sé quello sconosciuto che pretendeva di convincerla a non farlo.

Lui, Salvatore Germanà, ha dichiarato di aver agito d’istinto: «Una volta sceso dalla macchina, non ho pensato al pericolo ma solo alla persona che era lì. Poi ci ho ragionato dopo, a mente fredda. Ma l’importante era che lei fosse in salvo». E a mente fredda, giustamente, lo ha riconosciuto: «Quei trenta minuti mi sono sembrati un’eternità».

A leggere i resoconti ci vuole molto meno. Ci vuole troppo di meno.

E allora, come detto in apertura, sarebbe giusto prendersi un po’ di tempo in più per focalizzarla appieno, questa vicenda, e assimilarla in profondità. Con tutto il suo valore di coraggio personale e di altruismo. Come l’esempio concreto di una società migliore.

Dalla cronaca quotidiana a una consapevolezza durevole. O addirittura permanente. 

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