Agricoltori: Sanremo passa, i problemi restano 

Di Gerardo Valentini

Segui le cronache degli ultimi giorni e sembra che l’aspetto cruciale sia tutto lì: ci andranno o non ci andranno, sul palco del Festival, i leader degli agricoltori in lotta? 

Darà il via libera, Mamma Rai? E in che misura? Amadeus li accoglierà in carne e ossa o si limiterà a leggere un comunicato?

Nulla di più fuorviante. E tuttavia, purtroppo, di consueto. Come se fosse normale aver bisogno del supporto di un grosso spettacolo televisivo per ottenere un riconoscimento pubblico e politico. Per dare un crisma di validità e di urgenza alle proprie ragioni.

Sei parte dello show? Allora ti ascoltiamo. Visto che non possiamo fare diversamente. 

Non sei riuscito a rientrarci? Allora puoi rimanere nel limbo. O quantomeno non saremo costretti a starti a sentire, fino a quando non saremo noi stessi ad averlo deciso. 

I conti che non quadrano

Le questioni economiche balzano all’occhio, ma non sono affatto le sole. 

Dietro la gravissima disparità tra i costi di produzione elevati e i ricavi esigui c’è una lunga serie di cause. Che da un lato dipendono da fattori interni, come i ricarichi dei grossisti e quelli della grande distribuzione. Mentre dall’altro sono dovute a condizionamenti esterni, dalle regole restrittive della UE alla concorrenza, più o meno asimmetrica e quindi scorretta, dei produttori esteri.

Le ripercussioni emergono dai bilanci. 

Ciò che le influenza, o addirittura le determina, sono le scelte politiche.

Globalizzazione & “rivoluzione green”

Bella cosa, l’espansione planetaria dei commerci.

Bellissima cosa, la tutela dell’ambiente.

In entrambi i casi, però, bisognerebbe aggiungere subito una precisazione: belle, o bellissime, ma in teoria. Ossia senza tenere conto delle conseguenze effettive.

La versione ufficiale è che i benefici sono pressoché universali. Gli esiti concreti sono ben diversi. A cominciare dal fatto che gli attori economici non sono tutti uguali – per dimensioni e risorse, per modalità operative e capacità di resistere agli squilibri e alle turbolenze dei mercati – e perciò i vantaggi degli uni non corrispondono necessariamente a quelli degli altri. 

Al contrario: le opportunità delle imprese di vertice, tanto più se multinazionali, sono spesso in antitesi con quelle delle aziende meno grandi. 

Gli agricoltori italiani, e più in generale quelli europei, non possono essere visti soltanto come dei produttori di derrate. Che devono sbrigarsela da soli: e se ce la fanno bene, altrimenti pazienza. Perché in alternativa ci approvvigioneremo altrove. Magari spendendo anche meno, se si tratterà di Paesi in via di sviluppo.

Il ruolo dell’agricoltura, e di chi la pratica, va molto al di là di questo. È un ruolo, che nasce come attività privata ma che diventa un compito anche pubblico, di valorizzazione e presidio del territorio.

Non bisognerebbe mai dimenticarlo: l’ammontare del PIL è un valore aggregato in cui confluisce di tutto. Ma accanto alla cifra complessiva, e in realtà ancora prima, si stagliano i giudizi sulla società in cui viviamo. 

In cui vogliamo, o non vogliamo, vivere.

Leggi anche:

Patto di stabilità UE: molto tecnico, più che mai politico

Negli USA e non solo: il progressismo non affascina più

Zone 30 etc. La gigantesca ipocrisia dei limiti di velocità