Ottimo: blocchiamo gli scafisti. E dopo?

Di Gerardo Valentini

Lo dice il Papa, che vanno fermati gli scafisti, questi «trafficanti di esseri umani», e nessuno si sogna di dissentire. Neanche all’interno del vasto e fervoroso fronte dei buonisti in servizio permanente effettivo: quelli che i clandestini li hanno ribattezzati migranti e che, perciò, ne vorrebbero consentire sempre e comunque l’arrivo.

Prima l’arrivo, poi la legalizzazione. Prima il salvataggio in mare, perché avevano fatto naufragio o rischiavano di farlo, e poi il percorso, o lo scivolo, che conduce al traguardo finale. L’ottenimento dello status di rifugiati e il diritto di asilo: con cui si trasforma in beneficio permanente e pressoché indiscriminato quel soccorso che all’origine era dovuto, almeno ufficialmente, a cause eccezionali. 

Di fronte alle parole del Papa, quindi, non si dissente. Ma di fatto le si ignora. Continuando imperterriti a compiacersi delle proprie motivazioni “morali” e tralasciando, invece, le analisi degne di tal nome. Che incominciano, naturalmente, con il riflettere sulle conseguenze che deriverebbero da ciò che ci si augura.

Rimaniamo sull’appello di Francesco, allora: ammettendo che davvero si riescano a fermare gli scafisti, chi le organizzerà le traversate collettive via mare? Si suppone che a farlo saranno gli stessi aspiranti fuggiaschi, trovando chissà come le imbarcazioni necessarie e improvvisandosi marinai, o ci si immagina di andarli a prendere direttamente a domicilio, benché si affermi da sempre che i governi locali osteggiano le partenze e non sono disposti a collaborare?

«I viaggi della speranza – auspica il Papa –  non si trasformino mai più in viaggi della morte, le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti».

Bene. Ma come, all’atto pratico?

Umanitario: l’aggettivo “lavatutto”

Per il Papa è facile e anche logico, ridurre il fenomeno dell’immigrazione clandestina a una questione di solidarietà umana.

La sua dimensione è quella religiosa, anziché quella politica. Il suo credo è la fratellanza universale, che per definizione non ha confini e non distingue tra etnie e nazioni. Nel medesimo appello contro gli scafisti, pronunciato durante l’Angelus di domenica scorsa, non ha mancato di sollecitare «l’accoglienza verso questi nostri fratelli e sorelle».

Ma il suo, sul piano politico, è un lusso. Che non si può permettere chi ha il compito di governare: ossia gestire gli interessi – materiali e non solo – di  specifici Stati e specifiche popolazioni. 

In quest’ambito, che ha tutt’altri presupposti e che è obbligato, letteralmente, a fare i conti con le risorse effettivamente disponibili, lo spazio per la solidarietà è limitato per definizione. Tanto è vero che lo è non soltanto nei confronti degli stranieri ma anche dei propri stessi cittadini. 

Basti pensare, qui in Italia, alle pensioni: il cardine, nel determinarne le tempistiche e gli importi, non è ciò che sarebbe preferibile in linea di principio, ma ciò che è reso possibile dalle condizioni generali del sistema previdenziale. Vedi il passaggio dal regime retributivo a quello contributivo. Vedi l’ammontare, così modesto da risultare inadeguato, dei trattamenti minimi e di tutti gli altri che rimangono, comunque, ben lontani dai mille euro mensili.

In campo politico, dunque, gli aspetti etici sono fatalmente subordinati ai fattori economici. E se questo è vero in generale, negli ultimi decenni se ne è fatto un dogma, ribadito di continuo dalle linee guida adottate via via dall’Unione Europea. L’affermazione di principio è divenuta un limite tassativo. Anzi, una rete di limiti tassativi. Dal Trattato di Maastricht, dell’ormai lontano 1992, al ruolo della BCE, che ha cancellato la sovranità monetaria dei singoli Stati e che vigila a modo suo sull’inflazione complessiva. E sono solo due esempi, benché macroscopici, tra innumerevoli altri.

Ma è proprio qui che emerge, e che dovrebbe esplodere, la contraddizione dei sedicenti progressisti. Incarnati nel PD e non solo.

Mentre quei vincoli e quei paletti sono stati puntualmente avallati, e non di rado con accenti perentori e atteggiamenti servili, in tema di immigrazione si fa finta che non esistano. Al punto che chiunque si opponga agli arrivi a getto continuo, invocando misure più stringenti e selettive, viene fatto passare per un individuo spietato e senza cuore. Disumano, appunto. Disumano, addirittura.

Se il richiamo al realismo viene dalle Lagarde e le Von der Leyen di turno, “ce lo chiede l’Europa”. Se il Papa punta il dito contro gli scafisti, è un’indignazione sacrosanta.

Se invece sono le Destre, a predicare la necessità di porre un freno all’immigrazione illegale, apriti cielo: non può essere altro che il loro cinismo xenofobo, a farle parlare così.

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